Febbraio 2020: deflagra la pandemia da coronavirus, l’Italia presto si bloccherà in lockdown, e tu ti occupi del luogo che ha “inventato” la quarantena. Bum.
Ricordo nettamente dov’ero quando ho deciso cosa avremmo fatto: ciò che stava arrivando, indecifrabile ed epocale, mi pareva un’onda anomala, e i Lazzaretti Veneziani avrebbero rinunciato a surfarla.
Si trattava, in verità e senza dubbio, della più grande occasione mediatica che potesse capitarci; avremmo potuto cavalcare la cresta dell’onda gigantesca e saremmo stati protagonisti di un accadimento globale. Ma se non hai abbastanza tavola e gamba, sai che l’onda potrebbe travolgerti e romperti l’osso del collo. E quindi che fai? Decidi di concentrare le forze altrimenti: all’inizio stai apparentemente fermo – anche perché tutto era intriso di panico e confusione – e punti piuttosto sulla fase successiva, muovendoti in anticipo per farti trovare dove sicuramente verranno a cercarti fra un po’. Decidi cioè di non buttarti tu al volo, ma fai in modo di aspettare tutti a casa tua, al meglio possibile. [Nel biennio 2020-2021 saranno oltre cinquanta le testate e i documentari da tutto il mondo che ci contatteranno, trovandoci sul web super indicizzati nelle loro ricerche sull’origine della quarantena, e trovandoci sul campo quale luogo interdisciplinare che connette pandemie, cambiamenti climatici e altre criticità contemporanee.]
Così, abbiamo fatto il primo post due settimane dopo l’inizio del delirio, che è un tempo eterno sui social. Tutti i musei erano chiusi e si erano riversati online dandosi da fare come matti. Come Lazzaretti Veneziani ci siamo inventati sui social una rubrica 2.0 di 15 puntate, che confrontava le pratiche con cui la Repubblica di Venezia sei secoli fa mise a sistema la quarantena e ciò che tutti adesso dovevamo fare in lockdown: distanziamento, isolamento, mascherine, disinfettanti, autocertificazioni, green pass… nel XV secolo c’era già tutto, secondo una governance che divenne internazionale perché economica e geopolitica, rivoluzionaria ed efficace, perpetuandosi nei secoli fino a essere adoperata per il coronavirus globalizzato.
Contemporaneamente all’attività sulle reti lunghe digitali, quando verso l’estate si sono poi aperti i primi spiragli, abbiamo scelto di non avviare comunque le nostre due attività fondamentali, rimandando a settembre-ottobre le visite guidate e cancellando i workshop estivi. Era rischioso e noi avevamo anche bisogno di riposarci dopo un 2019 molto impegnativo, chiusosi col disastro dell’aquagranda da riparare, ma che ci aveva fatto mettere nel fienile più risorse del solito.
Così, abbiamo preso tutto quel tempo a disposizione per effettuare, in isola, manutenzioni straordinarie e nuova cartellonistica, e, alla scrivania, per stringere le partnership e vincere i bandi con cui recuperare la sostenibilità economica successiva secondo una nuova idea. Abbiamo rimesso in discussione quasi tutto e abbiamo scommesso sul futuro quasi al buio.
Il rapporto col pubblico manutenuto digitalmente nei primi mesi ha poi portato al tutto esaurito nelle sei settimane di visite guidate realizzate fra settembre e ottobre, in cui è stato potentissimo osservare il sollievo di chi veniva in isola per capire il senso della quarantena. Ecco il ruolo civico dei musei come chiave di interpretazione della realtà.
E abbiamo infine chiuso “l’anno lungo più di un anno” raccontandolo in un cortometraggio, cucendo i frame registrati episodicamente col telefono durante un periodo che mai avremmo immaginato, e decisamente straniti, dopo decenni trascorsi a spiegare l’importanza della quarantena inventata nelle ‘nostre’ isole, nell’esserci ritrovati di colpo al centro dell’attenzione mondiale. Insomma, nel 2020 sconvolto dal coronavirus il quarantennale progetto isolano dei Lazzaretti Veneziani sarebbe potuto andare per aria (in acqua c’era già andato il 12 novembre 2019) e invece con impegno e ingegno collettivo ce la siamo cavata. Anzi, non a caso, si è poi rivelato l’inizio di un triennio di semina e cambiamento. Una bella lezione su quanto possano insegnare le crisi, quando le affronti col coraggio dell’innovazione e della responsabilità.